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DOGON



DOGON
il popolo "venuto dallo spazio"



"Nella notte dei tempi le donne staccavano le stelle per darle ai loro bimbi.
Essi le bucavano con un bastoncino e facevano poi girare
queste trottole di fuoco per mostrarsi tra loro come funziona il mondo.."



I Dogon sono annoverati fra le popolazioni africane di maggiore interesse etnologico
in quanto pensano che i loro progenitori siano venuti dallo spazio
e precisamente dalla stella Sirio.
Sono circa 240.000, situati sulla Falaise (scarpata) di Bandiagara,
e nelle pianure circostanti del Gondo e del Seno.



Vivono di agricoltura, coltivando miglio, sorgo, cipolle.
Alcuni pensano che provengano dalla regione del Nilo;
altri parlano di una migrazione effettuata da parte del popolo Mossi,
(tuttora situato a sud, nel Burkina Faso) a seguito di lotte tribali.
Sono denominati anche Habba o infedeli, dai Fulbe,
pastori sudanesi di probabile origine etiopica.
Tale denominazione fu attribuita per la loro ferma opposizione alla religione islamica.
Parlare dei Dogon non è facile, tanto ricca e misteriosa è la loro cultura!.
La prima cosa che colpisce visitando i loro villaggi,
è l’armonia della loro architettura perfettamente in sintonia con l’ambiente,



specialmente nell’aspra e spettacolare Falaise, una formazione rocciosa ad alto contenuto ferroso,
che forma una specie di faglia sulla superficie terrestre
e si presenta come un colossale gradino sul limitare di un altopiano.
Essa si sviluppa per 150 km con un'altezza di circa 600 m.



Ma dopo il primo impatto con l'incredibile architettura dei Dogn
quello che inizia a sorprendere è la percezione del cosmo Dogon,
Tutti i particolari -fino al più piccolo- delle case e delle capanne,
le decorazioni e le forme degli oggetti più comuni,
persino la configurazione dei villaggi
hanno un valore simbolico profondo connesso con le loro credenze religiose
Nulla è casuale e nulla è razionale



I Dogon furono resi noti al mondo occidentale dall’opera di Marcel Griaule,



che visse a lungo fra loro, e interrogando gli anziani
riuscì a trascrivere la spettacolare cosmogonia,
che spiega perfettamente la vita e il mondo Dogon.
Marcel Griaule e Germaine Dieterlen (antropologa francese),



che per oltre un trentennio, tra il 1931 e il 1956, hanno vissuto tra i Dogon,
hanno riferito che essi sembravano possedere conoscenze astronomiche molto avanzate,
sull'origine delle quali si sono sviluppate numerose controversie.
In particolare nel 1933 Griaule trascorse un lungo periodo in compagnia
dello sciamano dogon Ogotemmêli, che si può considerare
la fonte primaria delle notizie relative alla cosmogonia dei Dogon.
Stando a quanto riportato da Griaule, da oltre 400 anni
questo popolo sarebbe stato al corrente del fatto che la stella Sirio
(sigi tolo o "stella del Sighi o Sigui",
ha una stella compagna (pō tolo o la "stella del fonio"), che orbita attorno ad essa,
effettivamente scoperta nel 1844 e nota come Sirio B.



I Dogon sosterrebbero, inoltre, l'esistenza di una terza stella compagna
(ęmmę ya tolo o "stella del sorgo").
Sempre gli stessi autori riferirono di avere riscontrato conoscenze relative
agli anelli di Saturno e alle lune di Giove.
(Per chi ne vuol sapere di più)
I primi abitanti della zona furono i Tellem, «piccoli uomini rossi»
forse pigmei, scacciati, circa settecento anni fa, dall'arrivo del Dogon:
Somaticamente diversi dai Dogon: erano di pelle rossastra,
bassa statura, affini ai pigmoidi.
Si erano rifugiati sulla Falaise per sfuggire alle scorrerie delle tribù guerriere della piana.
Dapprima i Tellem si sistemarono nelle cavità naturali
presenti sulla superficie della Falaise,
quindi svilupparono l'uso del banco - fango impastato con paglia-
per costruire case e granai a forma di cono tronco,
che tuttora sono incastonati nelle cavità della scarpata.



Tali costruzioni mirabilmente conservate, sono irraggiungibili
se non utilizzando delle corde, calate dalla sommità della Falaise.
Per tale posizione esse sono ancora usate come tombe dai Dogon.
I Tellem si estinsero per assorbimento, mescolandosi lentamente
con un popolo di invasori di razza Manding -forse Mossi dal Burkina Faso- circa 600 anni fa.
Secondo un'ipotesi fu dall'incrocio delle due etnie
che nacquero i Dogon.
E mentre scemavano i pericoli che avevano spinto i Tellem
a costruire i loro castelli imprendibili,
le antiche tecniche di costruzione furono ereditate dai Dogon,
che iniziarono a costruire i loro villaggi sempre più in basso,
fino nella piana stessa.
La casa tradizionale Dogon è composta da un locale centrale
affiancato da una ambiente cilindrico,la cucina,
due stanze laterali rettangolari e un vestibolo.
Una terrazza sul tetto serve di solito per tenervi le provviste.
Le case non hanno finestre e quindi il loro interno è molto buio.
Ad un uomo che stava costruendo la sua casa
una volta è stato chiesto perché non provvedeva
a praticarvi delle finestre.
Egli rispose: “Chi vuole la luce può stare
fuori; nella casa deve esserci buio!”.
Presso la casa si trovano i tradizionali granai con il loro tetto
a cono costruito con paglia di miglio.
Nelle zone più rocciose, questi granai sono
rialzati e poggiano su pilastri.
Nei villaggi, le case e i granai sono costruiti
molto vicini allo scopo di non permettere al sole
di penetrare nei vicoli e quindi di tenerli all’ombra.
Gli edifici sono costruiti con blocchi di terra cruda,
tenuti insieme con malta d’argilla
con la quale vengono intonacati anche i muri.
Lo spessore dei muri varia secondo l’altezza dell’edificio tra 40 e 60 centimetri.
La muratura è rafforzata tramite l’inserimento di tronchi
d’albero di palma che sporgono dalle pareti.
Questi tronchi dovrebbero assorbire anche le tensioni
che si verificano a causa delle notevoli escursioni termiche
tra giorno e notte e delle variazioni di umidità.
Ciò nonostante, gli edifici richiedono frequenti riparazioni.
I muri d’argilla proteggono dal sole rovente del giorno, assorbono il suo calore
e lo restituiscono la notte, rendendo accoglienti le case



Popolo misterioso ed inavvicinabile,
i Dogon sono rimasti animisti, rispettando l'Islam e combattendolo,
come ricordano i numerosi feticci fallici incontrati nella «brousse»,



la boscaglia di arbusti che si attraversa per giorni costeggiando la falaise da un villaggio all’altro.
L'arte dei Dogon è soprattutto la scultura e ruota intorno a valori religiosi.
Le sculture Dogon non sono fatte per essere viste pubblicamente,
e sono comunemente nascoste dagli occhi del pubblico
entro le case di famiglie, santuari.
L'importanza di segretezza è dovuta al loro significato simbolico
e al processo con cui sono fatte.
Temi che si trovano in tutta la scultura Dogon sono:
figure con le braccia alzate, figure barbute sovrapposte, cavalieri,
sgabelli con cariatidi, donne con bambini, donne che puliscono il miglio perlato,
donne recanti vasi sulla testa, asini che portano tazze, musicisti, cani .....



Amma (il dio supremo egizio si chiamava Amon...) è l’unico dio dei Dogon.
Egli è il creatore del sole, della luna, delle stelle e infine della terra.



Per capire il mondo dei Dogon,bisogna studiare la loro mitologia.
Secondo uno dei loro miti, il loro dio Amma,creò il sole e la luna.
Per crearli usò palle d'argilla avvolte in spirali
(in 8 volute) d'oro e d'argento.
Dopo che creò la Terra, Amma si congiunse alla terra appena creata,
ma l'unione fu resa imperfetta dalla presenza della clitoride
(residuo di mascolinità nella femmina).
Da questa unione nacque un figlio altrettanto imperfetto, lo sciacallo,
simbolo del disordine, che successivamente si accoppiò incestuosamente con la madre,
determinando l'insorgere delle mestruazioni.
Da questa catena di eventi incestuosi e peccaminosi i Dogon fanno discendere
la pratica purificatrice della circoncisione, sia maschile che femminile,
che tende ad eliminare la presenza di elementi
(anche se ridotti a livello pressoché simbolico)del sesso opposto.
Per ristabilire l'armonia, Amma generò quindi, senza peccato,
Nommo che subì una trasformazione moltiplicandosi in quattro coppie di gemelli.
Uno dei gemelli si ribellò contro l'ordine universale creata da Amma.
Per ristabilire l'ordine, Amma sacrificò uno dei gemelli,
il cui corpo fu smembrato e disperso in tutto il mondo.
Ovunque cadde una parte del corpo fu eretto un santuario .
Nell'ultima parte del 1940, gli antropologi francesi Marcel Griaule e Germaine Dieterlen
sono stati i destinatari di altre mitologie e segreti, concernente il Nommo.
I Dogon hanno riferito che i Nommo erano abitanti di un mondo che circonda la stella Sirio.
Le Nommos scesero dal cielo in un recipiente accompagnato da fuoco e tuoni.
Dopo l'arrivo, i Nommos crearono un serbatoio di acqua e successivamente vi si tuffarono.
Secondo il mito: "Il Nommo divise il suo corpo fra gli uomini per dar loro da mangiare,
per questo viene anche detto che, come l'universo" aveva bevuto dal suo corpo,
il Nommo aveva fatto bere gli uomini e dato
tutti i suoi principi di vita per gli esseri umani".
Il Nommo fu crocifisso su un albero, ma risorse e tornò al suo mondo d'origine.
Secondo il mito egli tornerà in futuro sulla Terra in una forma umana.
I Dogon pensano che maschi e femmine alla nascita presentano entrambi i componenti sessuali.
Il clitoride è considerata di sesso maschile, mentre il prepuzio è considerato femminile.
I riti di circoncisione consentono così ad ogni sesso di assumere la propria identità fisica.
I ragazzi sono circoncisi all'età di tre anni.
Dopo la circoncisione, rimangono per alcuni giorni
in una capanna separata dal resto della gente del villaggio,
fino a quando la ferita è guarita.
La circoncisione è un motivo di festa e i ragazzi ricevono regali.
Nelle vicinanze si trova una grotta dove vengono custoditi gli strumenti musicali.
I circoncisi devono andare in giro nudi per un mese dopo la procedura
in modo che tutti possano vederli.
Questa pratica è stata tramandata per generazioni ed è sempre eseguita durante l'inverno.
E' uno dei popoli africani che pratica la mutilazione genitale femminile,
motivata dalla credenza che il clitoride è un residuo dell'organo genitale maschile-
Durante l'intervento oltre al clitoride vengono rimosse anche le piccole labbra.
Le ragazze sono circoncise intorno all'età di 7 o 8 anni, a volte più giovani.
La circoncisione sia maschile che femminile è vista come necessaria
per assumere l'identità maschile o femminile.
Il villaggio di Songho ha una grotta di circoncisione ornata di rosso e bianco,
pitture rupestri di animali e piante.



I non circoncisi sono considerati "neutri".



Fanno musica su uno strumento speciale che è fatto
di una verga di legno e zucche che rende il suono di un sonaglio.



I Dogon pensano che la Parola sia fatta di vapore acqueo,
e quindi manifestano la centralità dell’acqua per il loro mondo agricolo.
Ma l’importanza spirituale della Parola si concretizza nel Toguna’,
la Casa della Parola, dove si riunisce il consiglio del villaggio,
formato da otto anziani (8 come gli antenati).
L’edificio consiste di una spessa tettoia di canne,
sorretta da pilastri scolpiti con scene di vita quotidiana;
il numero di tali pilastri varia a seconda a chi è dedicatol'edificio.



Se il Togunà è dedicato agli antenati, i pilastri sono otto (sempre come gli antenati).
Se invece esso è dedicato alla fertilità, i pilastri sono sette
poiché questo è il numero della famiglia:
3 per l’uomo (testicoli+pene) e 4 per la donna (piccole e grandi labbra).
I pilastri riportano sempre rappresentazioni cosmogoniche, e spesso
vi sono rappresentate coppie con i sessi ben evidenziati,
a testimoniare l'importanza della fertilità e della procreazione.
Nel Togunà lil tetto è basso in modo che,
qualora qualcuno si scaldi nella discussione e scatti con veemenza,
una bella capocciata lo richiami a più miti consigli.
Una rappresentazione importante e ricorrente nelle decorazioni Dogon
è il segno dello zig-zag, che richiama il movimento perpetuo
della spirale ed il serpente.
Quest'ultimo va a rappresentare a sua volta un antenato,
che morì per disegno divino e fu sepolto nel campo primordiale:
qui venne fondato il primo villaggio ed egli si trasformò nel serpente Lebè.



Una figura di spicco è l’Hogon, capo spirituale vivente;
egli rappresenta l’ottavo antenato divulgatore della Parola.
Egli vive da solo, ma tutte le notti il serpente Lebè gli fa visita,
e gli trasmette i suoi insegnamenti leccandolo (e dunque depositando saliva-acqua-Parola).
Egli è eletto tra i più vecchi uomini delle famiglie allargate del borgo.
Dopo la sua elezione per sei mesi, non gli è permesso
radersi o lavarsi. Indossa abiti bianchi e a nessuno è permesso toccarlo.
Una giovane vergine che non ha ancora avuto il suo periodo,
si prende cura di lui, pulisce la casa e prepara i suoi pasti.
Dopo la sua iniziazione, indossa un fez rosso.
Ha un bracciale con una perla che simboleggia la sua funzione.
La sua casa è detta Guinna; l’edificio, ha la facciata traforata
da nicchie contenenti feticci e teschi di animali sacrificati,
ricorda la trama dei tessuti, i campi coltivati, la coperta bianca e nera
che avvolge i defunti: in pratica riassume la Parola
e dunque tutta la religione Dogon.



Le danze Dogon sono l’occasione per vivere tutta la loro mitologia;
i danzatori portano pesanti maschere lignee,
ispirate alle varie fasi della cosmogonia,
ed anche a personaggi del mondo quotidiano.
Le maschere sono il tramite per cui il mondo dei morti e degli antenati
può entrare in contatto con quello dei vivi.
Nelle cerimonie dunque nelle piazze dei villaggi
si inscena la rappresentazione del creato, ed in essa si muovono le maschere,
tra le quali spiccano quelle Guinna e Kanaga’, le più importanti.



In generale le maschere Dogon sono di legno e costituite
da una volto stilizzato e assai geometrizzato;
esso viene applicato al capo del danzatore
ed è tenuto fisso da una corda o fibre ritorte.
Due fori in corrispondenza degli occhi del volto astratto
permettono al danzatore di vedere.
Sopra tale semplice viso si trova la parte caratterizzante vera e propria,
che assume forme diverse a seconda delle finalità della maschera stessa.
Nei casi più semplici si tratta di corna che vanno a rappresentare
una gazzella fino alle rappresentazioni più complesse, con un'intera figura umana.



La maschera Guinna rappresenta la Casa a più piani,
e cioè l'abitazione dell'Hogon.
La parte caratterizzante è una lunghissima e flessibile
tavola traforata,lunga anche 5 metri.
La traforatura rappresenta le nicchie della casa,
che a loro volta rappresentano il campo primordiale,
i campi ripartiti in quadrati, la coperta dei morti,
i discendenti degli 8 antenati che fondarono gli 8 villaggi principali
e diedero luogo agli 8 dialetti presentemente in uso.
La lingua dogon presenta caratteristiche particolari,
molte varianti e molti dialetti.
Ogni membro di questa popolazione ha quattro nomi:
un nome proibito, segreto, un altro che è "corrente",
uno che si riferisce alla madre e uno è il nome della classe di età.
Per evitare problemi con le altre parole di uso comune,
questi nomi sono presi dai dialetti di altre tribù Dogon.
La maschera Kanagò ha come elemento caratterizzante una croce di Lorena,
ed è forse la più importante perché rappresenta
i tre elementi naturali: cielo, acqua e terra).
Il movimento rituale di questa maschera prevede che il danzatore
segua un movimento di torsione del busto mentre contemporaneamente
egli va con le braccia verso il suolo:
così facendo l'asta verticale della croce tocca il terreno,
sollevandone uno schizzo di polvere.
Questo attimo della danza è quello in cui si rappresenta l'atto della creazione.
Accanto alle maschere principali e cosmogoniche si annoverano poi
maschere legate alla vita quotidiana, anche negli aspetti più curiosi,
come le maschere dei briganti, del dottore bianco, di animali, di etnie confinanti
Una volta ogni sessant'anni viene celebrato il Sigui,
cerimonia itinerante di villaggio in villaggio,
che rappresenta la perdita dell'immortalità da parte dell'uomo,
attraverso la rievocazione della morte del primo antenato Dyongu Seru,
rappresentato dalla iminana una grande maschera
che viene intagliata a forma di serpente ed è alta circa 10 metri.
Questa straordinaria maschera viene poi conservata in una grotta segreta.
La settimana Dogon non dura sette ma cinque giorni,
la casa ha corpo e braccia, i villaggi sono disposti come uomini sdraiati,
orientati da nord a sud e rappresentano simbolicamente il corpo umano.
La testa è il togu-nà la casa della parola,
dove si riuniscono gli anziani per le decisioni più importanti.
Il torace è rappresentato dalle case costruite con argilla e fango
e i granai con il tetto di paglia a forma di cono.
Le mani sono le case delle donne mestruate e sono situate ai due estremi del villaggio.
In basso c'è l'altare dalla caratteristica forma fallica.
Simboli e numeri sono tra loro strettamente legati
influendo in modo determinante nella vita quotidiana.
Nei cortili delle case e negli spazi comuni
si svolge gran parte della vita familiare.
Tutti hanno compiti ben precisi.
Le donne badano ai figli e alle incombenze della famiglia,
pestano il miglio sgusciano le arachidi e vanno a prendere l'acqua,
mentre gli uomini si occupano dei campi, del commercio e dell'artigianato.
Quando c'è mercato (ogni cinque giorni) le donne vendono i prodotti della terra.



Stupisce la libertà delle donne Dogon, a confronto con le vicine donne mussulmane.
libero il corteggiamento, ammesso il rapporto prematrimoniale,
concesso un periodo di prova in cui i coniugi vivono nelle case d'origine.
Il matrimonio diventa obbligatorio solo dopo la nascita del secondo figlio.
Dopo aver avuto dei figli, il divorzio è una cosa rara e grave,
e richiede la partecipazione di tutto il villaggio.
Una famiglia allargata può contare fino a cento persone e si chiama Guinna.
I Dogon sono fortemente orientati verso l'armonia, che si riflette in molti dei loro rituali.
Per esempio, in uno dei loro più importanti rituali, le donne lodano gli uomini,
gli uomini ringraziano le donne, i giovani dimostrano l'apprezzamento per il vecchio,
e il vecchio riconosce i contributi dei giovani.
Un altro esempio è l'usanza di elaborati saluti
ogni volta che uno dei Dogon incontra un altro.
Questa usanza si ripete più e più volte durante tutto il giorno.
Durante un saluto rituale, la persona che ha salutato per prima,
risponde a una serie di domande su tutta la sua famiglia.
La risposta è Sewa, che significa che tutto va bene.
Poi il rituale, viene ripetuto dall'altro. quindi la parola Sewa
è comunemente ripetuta in continuazione per tutto il villaggio.
Ecco perchè i popoli vicini li hanno soprannominati "le persone Sewa".
Credono che la volpe abbia poteri soprannaturali.
Le si rivolgono per sapere se sono corrisposti in amore
e per questo le offrono del cibo.
Al mattino, l'indovino legge le orme della volpe sulla sabbia e le interpreta...
Tutto il tesoro delle credenze e delle tradizioni Dogon
è ancora lì, addossato alla Falaise, grazie all’isolamento secolare
che ha protetto questo popolo, preservandolo
dai grandi eventi che gli scorrevano attorno.
I Dogon infatti resistettero ai margini dei grandi percorsi
e dei grandi interessi, impermeabili ad Islam e cristianesimo, a imperi e colonie.
I Dogon hanno un'agricoltura di sussistenza; coltivano miglio perlato, sorgo e riso,
cipolle, tabacco, arachidi, e altre verdure.
Siccome i primi antenati scesi sulla terra erano otto,
i solchi nei campi vengono tracciati a gruppi di otto.
E' stato Marcel Griaule a stimolare la costruzione di una diga nei pressi di Sangha
e incitato i Dogon a coltivare cipolle.
Oggi i campi si trovano accanto ai barrages, piccole dighe costruite negli anni Ottanta,
che hanno permesso loro di avere più acqua a disposizione
e di aumentare la produzione di scalogno:
l'unico prodotto commercializzato in quantità (fresco o essiccato).
Lo scalogno Dogon è celebre sui mercati di tutto il Mali
e in questi terreni rocciosi acquisisce caratteristiche uniche di dolcezza e sapidità.
Si consuma fresco oppure essiccato.



L'essiccazione può essere realizzata secondo una tecnica tradizionale
che prevede di macinare i bulbi in un mortaio di pietra
per poi modellare la pasta che se ne ricava in palline
e farle essiccare al sole.
Tecniche più moderne, prevedono di tagliare i bulbi a fettine sottili
e di essiccarle una o due settimane sulle grate al sole.
Le cipolle essiccate vengono trasportate da camion in Costa d'Avorio
dove vengono vendute come ingrediente per le salse.
Gli orti tradizionali comprendono una zona di alberi da frutta
(mango, arance, karitè), una destinata ai cereali
(riso, mais, miglio, fonio) e alle arachidi,
e una per ortaggi e legumi.
Le donne trasformano i fiori, i frutti e le foglie di ogni pianta
(selvatica come il baobab, o coltivata)
in un condimento (somè, in lingua dogon):
il kamà (polvere ottenuta macinando le foglie di acetosella essiccate),
il pourkamà (polvere ottenuta macinando le foglie di nerè essiccate, un albero locale),
il djabà pounan (polvere ottenuta macinando le palline di scalogno
essiccate e tostate leggermente in olio di arachidi),
il gangadjou pounan (polvere di gombo essiccato),
l'oroupounnà (polvere di foglie di baobab),
il wangue-somè (polvere a base di un peperoncino locale, aglio e sale)
e il keberoupounnà (solo peperoncino).



Questi condimenti sono alla base della cucina Dogon:
sono usati nelle salse, nelle zuppe, sulle verdure o sulle carni.
Essi inoltre allevano pecore, capre e galline.



Nonostante essi conoscano la scrittura moderna e potendo quindi
trascrivere la loro storia e cultura, l’ermetismo che caratterizza questo popolo
fa sì che preferiscano trasmettere le loro tradizioni verbalmente.
È vero che solo pochi conoscono il loro passato storico,
ma i loro antenati hanno lasciato sulle pareti delle caverne di Bandiagara,
pitture e pittogrammi che solo recentemente sono stati decifrati,
perché erano sotto custodia dell’Hogon,l'alto sacerdote custode della sapienza.
I Dogon rappresentano, da un punto di vista etnologico, l'esempio vivente
di una popolazione "primitiva" alle prese
con i primi straordinari passi del pensiero filosofico.
Nei Dogon si possono ravvisare i fondamenti dell'atteggiamento del pensiero
che si pone il problema delle origini del Mondo e del Se,
e che su tali origini cerca e fornisce chiarimenti.
Nella loro complessa elaborazione si può verificare quanto siano profondi
e ricchi di conseguenze i risultati cui perviene il pensiero fondamentale,
anche da parte di popolazioni che si trovano nelle fasi arcaiche del loro sviluppo.
Ma soprattutto -per etnologi e non- i Dogon sono uomini che hanno dato
una causa,una storia ed uno scopo alla loro presenza nel mondo,
e ad essi restano fedeli, e forse lo resteranno qualunque cosa accada.

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