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PEUL - BORORO
i nomadi del Sahel



Fieri e bellissimi, i nomadi Peul continuano da secoli un affascinante viaggio senza meta.
Attraversano l'Africa subsahariana con le loro mandrie, cercando erba, acqua e...libertà.
Il gruppo dei pastori Fulani conosciuti come Peul, ha origini antichissime
tant’è che ancora oggi si fanno solo delle supposizioni sulla loro esatta provenienza
che pare risulti essere dell’alto Nilo (i tratti somatici e fisici sono propri del ceppo etnico dei Nilotici).
In diverse ondate migratorie, si sono insediati in vaste zone dell’Africa occidentale,
ed oggi li possiamo trovare dal Senegal fino alle rive del lago Ciad.

I Peul sono pastori di mucche e, un tempo, dominavano la regione.
Avevano la predilezione per le bestie dalle grandi corna lunate e, nel passato,
avevano selezionato una razza bovina di brachiceri ("grandi corna").
Questi animali di taglia enorme avevano le corna così grosse, all'attaccatura,
perché dovevano guadare il Niger o nuotare nelle paludi del lago Ciad;
essendo cave, le corna fungevano da salvagente.
Una piccola mandria è allevata nel museo di Niamey che non è un museo così come noi la intendiamo
in quanto non si tratta di un museo vero e proprio
ma un'area molto vasta all'interno della quale si può trovare uno zoo in cui sono ospitate
alcune tra le creature più grandi del mondo come leoni,
tigri ed elefanti, direttamente presi dalla loro terra d'origine.
Nelle pitture rupestri del Sahara si vedono distintamente questi animali,
accompagnati da pastori che paiono identici, nell'aspetto e nel costume, ai Peul di oggi.



I Peul seguono lunghe piste di transumanza alla ricerca di erba,
il vero fattore limitante del pastore, assai più dell'acqua.
Uomini con tale strategia di sopravvivenza devono avere a disposizione
immensi spazi inutili all'agricoltura.
È per questo che i Peul, forse originati da popolazioni caucasoidi
provenienti dallo Yemen, sono diffusi in una fascia semiarida
che parte dal Senegal e arriva al Camerun settentrionale e al Sudan meridionale.
Spiriti liberi e attaccati solamente al bestiame, con cui si identificavano
al punto da chiamare i figli con i nomi dei tori e delle mucche favorite,
si sono convertiti in gran parte all’islam ed hanno poi abbandonato
la vita nomade per diventare agricoltori ed allevatori
di mandrie accudite da pastori assoldati allo scopo.
Una piccola parte, invece, ha mantenuto intatte le antiche tradizioni
scegliendo la vita nomade ed ha conservato un grande attaccamento agli armenti
e, in particolare, per lo zebù, un bovino dal mantello
color mogano con grandi, elegantissime corna bianche.



Sono anche chiamati Bororo, un nome ispirato dal bestiame
che vuol dire “quelli che non si lavano e vivono nella macchia”; (o Mbororo)
un termine dispregiativo derivato da "mborooli",
nome dello zebù in lingua fulani.
Invece loro con orgoglio si fanno chiamare Wodaabé, il popolo del tabù.
Per i Bororo non c’è bisogno di gerarchie, schiavi e sultani
come per iTuaregh per i quali hanno una specie di repulsione atavica.
Si muovono in piccoli gruppi familiari,  il solo bene immaginabile è la mandria<
e per loro il massimo è poter camminare fieri davanti alle vacche,
dando così un senso alla loro vita.
Come per tutti i popoli pastori il rapporto con l’animale è indissolubile;
ogni bambino riceve in dote fin dalla tenera età, un vitellino.
Essi vivono delle loro mandrie, che usate come moneta di scambio
assicurano di che vivere, e solo in occasioni di festa
sacrificano una bestia per mangiarla.
Un altro bene di cui vanno fieri è la bellezza fisica.
Gli uomini sono alti ed hanno un portamento elegante,
e credono che la divinità abbia donato loro una grande bellezza.
Corpo dritto e slanciato, grandi occhi, fronte alta e denti bianchissimi,
sono questi i canoni di bellezza di un nomade Wodaabé.



Anche le donne hanno dei lineamenti dolci ed ingentiliti da gioielli e monili
che le rendono ancora più accattivanti;
le cicatrici sul volto e ai lati della bocca segnano l’appartenenza
ad un determinato clan e proteggono dagli spiriti malvagi.



Per entrambi i sessi c’è molta libertà sessuale,
e anche dopo il matrimonio possono avere rapporti con estranei purché di bell’aspetto.
Ogni anno al termine della stagione delle piogge, i nomadi Wodaabe si riuniscono a centinaia
per celebrare la festa del Geerewol durante la quale si ritrovano i vecchi amici
e si intrecciano nuovi amori tra danze frenetiche e rituali antichissimi.
Per non mancare a questo avvenimento i gruppi familiari attraversano le pianure del sahel,
che si estendono tra Niger, Nigeria e Camerun,



gli uomini a piedi,fieri davanti agli armenti, le donne e i bambini dietro sugli asini.
I nomadi spingono le loro mandrie verso i pascoli ricchi di sale e di pozze d'acqua
in un territorio compreso tra il villaggio di Abalak e l'oasi di Ingal.


Proprio qui viene celebrata la festa, importante evento sociale,
ma soprattutto celebrazione ed elevazione della bellezza a valore morale.
Il Rumme è la danza di benvenuto e rappresenta una sorta di saluto
rivolto ai gruppi che partecipano all'evento.
I giovani danzatori, spalla contro spalla e mano nella mano
si muovono lentamente formando un grande cerchio.
Al centro gli anziani li incoraggiano battendo le mani e intonando una nenia
che sembra non avere fine mentre all'esterno, le fanciulle occhieggiano interessate.
La cerimonia prevede una gara di bellezza maschile
e la scelta del partner. E' una scena piuttosto comica ai nostri occhi,
in quanto i maschi, per"farsi più belli", fanno smorfie col viso,
storcono la bocca, sorridono mostrando i denti, strabuzzano gli occhi,
nella speranza di sembrare più belli. Questa cerimonia è chiamata " yake",
è una danza il cui nome significa "compagni della stessa classe d'età ",
e vi partecipano tutti quelli che discendono dalla stessa linea di parentela.
I giovani indossano una tunica amorevolmente ricamata dalle donne
durante i mesi di transumanza nelle assolate piste del sahel.
Il gerewol è invece una danza di guerra con grandi volteggi e rotear di spade
che, talvolta, viene inserita nello yake.
I giovani si presentano in un unico fronte compatto
avanzando ed indietreggiando con passi leggeri e ritmati.
Pesanti cavigliere (l'unico strumento musicale ) ritmano il cadenzare della danza,
che con il passare delle ore si fa più frenetica.
Alcuni danzatori abbandonano il gruppo e, mulinando ritmicamente
il bastone da mandriano e l'ascia si spingono in avanti per farsi ammirare.



Durante il Geerewol i maschi dedicano cure scrupolose e maniacali al loro aspetto
e la giornata viene spesa davanti ai piccoli specchi
nel ritocco del trucco e dell'acconciatura.
I canoni del fascino maschile prevedono la rasatura del capelli
all'attaccatura della fronte, le chiome annodate in intricate treccine,
le palpebre e le labbra rese scure dal kohl,
le guance coperte di pura, una polvere gialla che accresce
la grazia dei viso, su cui sono disegnati cerchi rossi
e puntini bianchi a forma di stelle; lunghi ciuffi di peli bianchi ai gomiti,
un turbante bianco da cui spunta una piuma nera di struzzo
e da cui pendono silkin, strisce di cuoio rivestite di ottone e
conchiglie cauri; un groviglio di pendenti appesi al collo completano l'abbigliamento.



Nell'ultima luce del giorno, dopo che il sole è tramontato dietro la boscaglia,
la savana risuona di ritmi antichi.
Sullo spiazzo polveroso al centro del campo, un circolo di uomini
con grandi copricapo di paglia e cuoio che noi potremmo confondere
con un cappello "cinese", ondeggia al suono dei tamburi



e battendo le mani intona il ruume, il canto di benvenuto.
Le ragazze, timide sotto gli ombrelli multicolori, li spiano a qualche passo di distanza.
Ogni mattino e ogni sera, durante la settimana dei Geerewo!,
le fanciulle assistono a questo rito, eseguito dai giovani maschi in cerchio,
i visi accuratamente truccati, le labbra nere di kohl, i grandi cappelli eleganti,
le vesti finemente ricamate su cui sono cuciti amuleti, specchietti.......
Ma il momento culminate della festa è lo yaake,
la danza in cui i ragazzi si esibiscono in una vera e propria
gara di bellezza, facendo sfoggio di tutto il loro fascino,
ed ai termine del quale le ragazze più belle fanno timidamente il loro ingresso e,
accompagnate dai capi cerimonia e dalle donne anziane, avanzano lentamente con le mani giunte.
Con un semplice gesto della mano ogni ragazza sceglie il suo compagno
per una notte o per tutta la vita.
Seppure la danza si ripete due volte nell'arco della giornata
è quella notturna la più suggestiva, avvolta in un'atmosfera resa irreale dai bagliori rossastri dei grandi fuochi
al centro della scena e dalla luna piena.
I Peul Bororo sono ossessionati dalla bellezza
che utilizzano come gerarchia di valori.
Del resto i Wodaabe sono famosi proprio per la loro bellezza:
il portamento elegante, i corpi alti e slanciati,
i lineamenti quasi femminili accentuati dal trucco,
il sottile naso aquilino sono alla base della loro convinzione
di essere le creature più belle del pianeta.



Le donne peul si praticano delle scarificazioni angolate sulle tempie,
all'altezza degli occhi in modo che lo sguardo risulta molto accentuato.



La bellezza fisica è tanto importante per loro che un marito
consente volentieri alla moglie di giacere con un uomo avvenente
nella speranza di ottenere un figlio bello.
In grado decrescente di desiderabilità,
i Bororo si suddividono in uda'en
(alti di pelle chiara, ossa sottili, mani lunghe, lineamenti fini, naso aquilino),
yayaanko'en (gambe lunghe, facce strette con scarificazioni, colorito pallido),
kawaje delle sponde del Niger (scheletro esile e pelle particolarmente chiara)
e wodaabe, più numerosi di tutti e riconoscibili per il colore rossiccio della pelle;
al fondo della scala stanno i wojaabe, dalla pelle quasi nera,
probabili figli di schiavi negri.
Lo yake richiede giorni di cura della bellezza
del corpo e di preparazione dei costumi
e  vede i maschi intenti a imbellettarsi il volto
e a fare smorfie per incrementare il lucore nel viso di denti e pupille



In realtà, la vita dei Peul è durissima e uno dei valori assoluti della pulaaku
è la resistenza alle intemperie, alle difficoltà ed emozioni.
E il coraggio va mostrato in pubblico, in un'esibizione di assoluta insensibilità collettiva,
dato che, come scrive Georges Balandier,
"Tutte le società sono ossessionate dal sentimento della loro vulnerabilità".
Nel corso dell’anno i nomadi si disperdono con le mandrie in vaste zone del Sahel,
costretti ad una perenne migrazione tra uno stato e l’altro,
dal Mali al Niger, alla Nigeria a causa della siccità
che spesso decima i capi e li contrappone ai Tuaregh
per il predominio delle poche pozze d’acqua.
Un gruppo familiare può possedere fino a 300 capi,
che i componenti della famiglia sanno riconoscere ad uno ad uno.
Questi nomadi, la cui vita è totalmente imperniata sull'allevamento,
tengono in grandissima considerazione la propria libertà;
la loro è una società di eguali non fondata sui beni materiali,
dato che considerano indegno di un allevatore fabbricare oggetti
e sono convinti che il lavoro, se non direttamente connesso con l'allevamento,
comprometta la libertà, affidano persino la realizzazione
dei loro gioielli ad artigiani tuareg.
Disprezzano i loro vicini sedentari e hanno conservato tradizioni,
costumi e valori tipici di una vita indipendente,
resistendo a qualsiasi influenza esterna e alle lusinghe dei cambiamento.
A loro volta sono disprezzati dai Peul sedentari,
che li chiamano Bororo (o Mbororo),e che disapprovano la vita primitiva
al seguito delle mandrie, lontana dai precetti dell'islam.
Tra i Bororo si contano diverse tribù, che si possono
sinteticamente raggruppare in due grandi gruppi culturali:
quello che pratica il Geerewol, ovvero la danza di bellezza,
e quello che pratica il Sara, ovvero l'iniziazione per bastonatura.
Al primo gruppo appartengono i Wodaabe, vocabolo che significa "popolo del tabù",
ossia coloro che aderiscono al codice di comportamento tradizionale
(il pullaaku) fondato sulla modestia, la riservatezza, l'equilibrio.
Essi sono stanziati principalmente in Niger,
nella regione compresa tra Niamey e Agadèz,
pur spingendosi molto lontano durante lo stagione secca,
quando l'acqua scarseggia e i pascoli si riducono e inaridiscono.
In settembre, al culmine della stagione delle piogge,
quando i pascoli salati tra Tahoua e Agadèz
sono verdi e ricchi di foraggio ad altissimo contenuto salino,
i piccoli gruppi familiari, con il loro seguito di cammelli,
asini e zebù, convergono da tutti gli angoli dei Sahel
per sottoporre gli animali alla cure sa!ée, letteralmente
"cura salata", un trattamento mineralizzante
contro la disidratazione, che aiuterà le bestie
a sopportare meglio la stagione asciutta.
E' questa l'occasione per le più importanti
riunioni tribali dei Wodaabe e dei Tuareg
(anch'essi intenti alla cure sa!ée) che concentrano in questo periodo dell'anno
quasi tutta la loro vita sociale.
Nessun altro momento, nessun altro luogo si presta meglio
per la celebrazione della più grande festa wodaabe,
il Geerewoi, e del suo equivalente tuareg, l'Ilioudjan.



I Peul si nutrono essenzialmente di latte spesso cagliato,
e carne ovina, caprina o bovina.
Usano pochi cereali e legumi e completano il pasto
con datteri, tè e zucchero.



La loro cultura è tutta incentrata sulla bellezza della mucca
che arrivano a comparare con quella della donna, ma nessuna donna
si sente offesa da questo.
Hanno un poema epico Fantang dove si può leggere che nella mitologia preislamica,
Dio creò prima la vacca, poi la donna e per ultimo l'uomo.
Per questo l'uccisione di una vacca è un gesto sacrilego
se non è dovuto ad un'occasione speciale.
La base della loro organizzazione è l'accampamento dove si riuniscono,
attorno ad un capo e ad un consiglio di anziani, diverse famiglie.
Quando scelgono il posto in cui accamparsi, puliscono una parte del terreno
dalle stoppie e le donne preparano la capanna cupoliforme,
costruita con rami curvi e ricoperti da pelli o stoffe.





Sono abitazioni pratiche che riparano dal vento e sono facilmente smontabili,
infatti la vita nomade non permette loro il possesso di molti beni materiali
perché ne limiterebbe gli spostamenti.
L’arredamento delle capanne consiste in stuoie che servono da letto,
o un letto a piedi alti, e un corredo di vasellame
e di calebasse che sono delle mezze zucche svuotate e decorate
che costituiscono il corredo delle donne e sono tramandato da madre in figlia.
Nell'accampamento bisogna rispettare delle regole ben precise:
Le donne trascorrono la maggior parte della loro vita
nell'accampamento prendendosi cura dei figli.
Le ragazze, dopo sposate vanno a vivere nella capanna del marito.
Durante il giorno i protagonisti sono gli uomini che si riuniscono
a seconda dei gruppi di età o della loro attività di allevatori.
mentre la notte è il dominio della donna.
I matrimoni si celebrano di notte fra ottobre e novembre,
generalmente fra cugini per evitare la dispersione del bestiame,
mentre le varie cerimonie di giorno.
Un proverbio BORORO dice:” La dignità è come l’olio,
una volta che l’hai versato non lo puoi più recuperare”.
Per cui la loro ferrea condotta morale è il PULAKU,
che si basa sulla vergogna, il ritegno e la dignità.
Per allenarsi a questa virtù, il pastore bambino
si vede affidare la custodia delle mandrie,
e di notte nella savana deve vincere la paura
e contrastare gli attacchi degli sciacalli e delle iene,
pena la vergogna di essere additato come pauroso.

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