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TANGBA
 Il popolo delle pietre



Il Benin è grande un terzo dell’Italia ed è noto come patria della religione voodoo
Il popolo tangba (conosciuto anche con il nome di taneka)
abita la regione di Djougou, nel nord-ovest del Benin.
Sono considerati un popolo magico e vivono nel rispetto delle loro tradizioni e usanze,
tanto che combatterono con archi e frecce per difenderle
nella battaglia “del mercato di Copargo”,
diventando così un esempio di lotta alla globalizzazione.
Il luogo sacro per eccellenza è la grotta Varun,
in cui vengo fatti sacrifici ed è predetto il futuro.
I capi spirituali sono la memoria storica e religiosa del villaggio.
Sono conosciuti come: il “popolo delle pietre”.
Il riferimento alle pietre, infatti, è più che mai vivo, sia nella tecnologia costruttiva delle abitazioni
e dei ripari contro i nemici, sia negli aspetti simbolici
che fanno riferimento alle grotte della zona come fondamentale elemento di difesa.
I Tangba sono un popolo nato dalla storia.
Tutti i Tangba vivono una doppia identità: una legata alle proprie radici,
l'altra creata dagli eventi storici.
«Siamo un popolo unico» affermano, ma si aprono in un ampio sorriso
quando si domanda quante famiglie ci sono nei loro villaggi:
«Qui c'è gente di tutti le etnie» rispondono,
accompagnando la frase con un arco della mano che copre l'orizzonte più lontano.
Per comprendere meglio la questione è necessario ripercorrere le vicende storiche
della regione dell'Atakora, dove sorgono le Colline Taneka.
La tradizione orale è ricca di episodi che raccontano le guerre per difendersi dai razziatori
i quali assunsero nelle loro truppe anche mercenari djerma provenienti dall'attuale Niger.
Le Colline Taneka divennero sempre di più una roccaforte dove i fuggitivi
potevano difendersi dai nemici.



Così, costrette dagli eventi, quelle famiglie di origine diversa
si costituirono poco a poco in villaggi
dando vita a quello che oggi è il popolo Tangba.
"Tangba è chi conosce la tradizione" si dice, passando sopra
a ogni differenza originaria in favore di un'unità dettata dagli eventi.
Si è detto prima che entrambi i significati attribuiti al nome Tangba (o Taneka)
si addicevano alla realtà di questo popolo.
>Il riferimento alle pietre è più che mai vivo, sia nella tecnologia costruttiva delle abitazioni
e dei ripari contro i nemici, sia negli aspetti simbolici
che fanno riferimento alle grotte della zona come fondamentale elemento di difesa.
Anche il nome "guerrieri" è però appropriato:
i Tangba si considerano, e sono considerati dagli abitanti della pianura, dei terribili guerrieri.
Il non essere mai stati sconfitti è un forte motivo di vanto che viene spesso ricordato
quando si parla degli avvenimenti del passato e che ha contribuito in maniera determinante
nel formare il carattere di questo popolo.
La prima impressione che si prova a visitare un villaggio tangba è quella di abbandono.
Sembra di passeggiare in mezzo a un mucchio di conchiglie vuote.
Numerose abitazioni sono semidiroccate, tetti caduti e muri che si sgretolano.
I villaggi tangba della collina sono in realtà dei templi,
luoghi sacri, abitati solamente dagli anziani
e dagli specialisti rituali e religiosi.
La maggior parte degli individui risiede in abitazioni sparse nei campi
per un raggio di oltre 30 km e solo in occasione delle grandi cerimonie
si raduna nei villaggi per celebrare l'evento.


Sono quattro i villaggi tangba, tre dei quali sorgono sulle colline,
mentre Pabegou, il quarto, è posto in pianura, sulla strada principale
che collega Djougou con Natitingou. Sul versante orientale delle colline
sorge Seseirhà, oggi riportato sulle carte con un toponimo in lingua dendi,
Taneka Beri, che significa "le grandi pietre".
Sul versante opposto, a circa 30 minuti di cammino, si trovano i villaggi di Dur,
detto anche Taneka Koko, "sotto le pietre" e di Karhun.
Il termine villaggio non rispecchia fedelmente la realtà degli abitati tangba.
Infatti ogni insediamento è suddiviso in più quartieri (perhò)
i quali costituiscono delle entità con una notevole autonomia politica.
Si potrebbe dire che ogni quartiere sia un villaggio e che ogni insediamento
sia invece una confederazione di villaggi che agiscono congiuntamente.
Percorrendo i sentieri che attraversano l'abitato è difficile comprendere i limiti di ogni quartiere.
Sono pietre sacre, altari, piccoli campi di miglio
considerati sacri, a segnare i confini.
Una rete di fili sottili, che passano attraverso la concezione religiosa, delimitano lo spazio abitato.
In ogni quartiere si trovano le principali autorità tradizionali:
il sawa, capo politico la cui origine è spesso straniera;
il tung-te, capo della terra discendente dei fondatori del villaggio,
i namari, specialisti rituali che guidano le classi d'età
e i boro-te, i guaritori tradizionali.
L'unità abitativa è il sarha, un recinto di muretti in terra
che racchiude l'abitazione del capofamiglia,
quelle delle sue mogli, il granaio e le due cucine, una coperta, l'altra all'aperto.



I figli maschi rimangono nell'abitazione dei genitori fino alla nascita del loro primo figlio,
poi si trasferiscono in una nuova casa.
Alla morte del padre, che verrà seppellito nella propria capanna,
il primogenito ritorna alla casa paterna con tutta la sua famiglia.
La continuità viene così mantenuta e la tradizione perpetuata.
La casa sarà sempre abitata dal più anziano della famiglia
che avrà sotto i suoi piedi gli spiriti dei suoi antenati.
L'abitazione tradizionale è rotonda con il tetto in paglia, ma oggi nei villaggi tangba
si vedono sempre più frequentemente abitazioni rettangolari e fanno la loro comparsa i primi tetti in lamiera.
Questi ultimi sono considerati una sorta di status symbol, anche a causa del loro costo piuttosto elevato
rispetto ai redditi medi locali. «Sono le case dei giovani» dicono gli anziani,
ma in realtà proprio gli uomini più influenti e pertanto anziani,
si sono costruiti un'abitazione squadrata con tanto di tetto in lamiera.
Nel caso dei giovani si tratta non solo di un'imitazione delle case di città,
ma anche una sorta di rottura con la tradizione.
In queste case vive spesso una famiglia nucleare, con meno figli della media
e senza spazio per il resto della parentela.
Le terre che circondano le colline sembrano gonfiarsi nella stagione delle piogge.



Il miglio cresce alto, quasi a nascondere i sentieri e le abitazioni.
A interrompere l'alta barriera del miglio restano i campi coltivati a igname,



con i loro caratteristici mucchietti di terra dai quali spuntano le foglie.
I Tangba sono agricoltori, "amano la zappa" come sono soliti affermare.
Possiedono però dei buoi, che vengono usati solamente per i sacrifici
nelle occasioni cerimoniali più importanti.
Sono i Peul ad allevare questi buoi, ottenendone in cambio latte e una parte di carne
quando l'animale viene sacrificato.
"I Peul sono i nostri più grandi amici - dicono i Tangba - a loro affidiamo la nostra ricchezza"
I buoi, al di là del loro valore economico, sono infatti considerati importantissimi su piano rituale.
Questo legame particolare con i Peul viene considerato come una relazione tra fratelli,
al punto che non è consentito sposarsi con loro.
Come spesso accade, la regola viene talvolta trasgredita,
trasgressione favorita dalla bellezza delle ragazze peul,
un elemento particolarmente apprezzato dai Tangba.
Non esistono altre proibizioni matrimoniali tra gli appartenenti alle diverse etnie
che compongono la società tangba.
Ci si può sposare con chiunque, anche se di preferenza
si sceglie una moglie all'interno del proprio quartiere.
Sono i genitori del giovane a recarsi dalla famiglia della sposa per dire:
"Abbiamo rubato vostra figlia"
Se la famiglia della sposa e la ragazza accettano,
lo sposo inizia a lavorare per un certo periodo nei campi del futuro suocero.
Oggi il prezzo della sposa viene pagato anche con denaro,
ma la collaborazione con il suocero nel lavoro agricolo rimane.
Prima del matrimonio lo sposo porta 2 polli, 2 galli, ignami e sorgo
ai suoceri per i sacrifici.
Il mattino dopo essersi trasferita nella casa dello sposo, la donna fugge&
e rientra da sola a casa dei suoi.
Il marito finge di non essersene accorto e solo dopo 3 giorni inizia a cercarla.
Il quarto giorno la ragazza ritorna con il marito nella sua abitazione.
Il mattino seguente la mamma dello sposo si alza molto presto
e mette davanti alla porta della sposa una scopa.
La ragazza, quando al suo risveglio vede la scopa, inizia a spazzare il cortile,
va a prendere acqua al torrente con le co-spose ed esce a cercare legna.



Da quel momento rimarrà nella casa.
Il primo parto avviene nell'abitazione dei genitori della sposa.
Quando la donna è incinta, verso il 6°mese, si trasferisce presso i suoi genitori,
poiché sarebbe una vergogna il farsi vedere inesperta dalla suocera.
Sarà sua madre a insegnarle come accudire il piccolo. Al secondo figlio partorirà in casa del marito.



L'esistenza degli uomini Tangba è segnata da una serie di gradi di età
che coprono l'intero arco della vita di un uomo.
Si tratta di un percorso caratterizzato da tappe importanti che prevedono
una serie di insegnamenti e di comportamenti specifici.
Sotto il profilo individuale il sistema delle classi d'età tangba
dà vita a un'iniziazione graduale che conduce alla formazione di individui
altamente sociali, perfettamente consci dei vari aspetti
della loro cultura e della loro società.
Dal punto di vista sociale le classi d'età costituiscono
una parte fondamentale del sistema politico tangba.
Anche per le donne sono previsti alcuni gradi di età,
ma si tratta di una scansione legata allo sviluppo fisiologico
e non alla vita sociale e politica della comunità.
E' l'unica etnia a praticare la circoncisione maschile in età adulta.
Viene considerata una vera e propria prova di coraggio.
I giovani vi si sottomettono senza manifestare alcuna paura o
dolore, pena la vergogna sulla propria famiglia.
Gli strumenti della prova sono fabbricati in una collina
dai "forgerons" gli artigiani del ferro,
una casta davvero importante nell'economia dell'etnia.
Per quanto riguarda invece le bambine, l'escissione è ancora molto praticata,
nonostante i divieti governativi.



Nei primi anni di vita il bambino è un biha, senza distinzioni di sesso.
Al piccolo viene assegnato un nome che manterrà
fino al grado di kumpara per quanto riguarda i maschi.
Questo nome d'infanzia è legato soprattutto alle circostanze nelle quali il bambino è venuto al mondo,
ad esempio Nyosum (sorpresa) se viene dopo un bambino o più bambini nati morti.
Altre volte il nome serve a trarre in inganno
o ad allontanare presenze maligne: Swaca (in mezzo a niente);
Doxca (tra due nulla); Kpedaca (lo teniamo per nulla, non serve).
Se si tratta di gemelli maschi il primogenito si chiamerà Takora e l'altro Kura,
se si tratta di ragazze Asana e Donga.



La capacità di manovrare la zappa per i maschi e quella di portare la legna
per le femmine (attorno ai 5-6 anni) segnano il primo cambiamento nei piccoli tangba.
I bambini verranno chiamati kpekpelxu e le bambine bisexa.
Non si può definire kpekpelxu un vero e proprio grado di età
in quanto non prevede nessuna particolare iniziazione
nè l'inserimento in un gruppo di coetanei con funzioni istituzionalizzate e status definito.
I kpekpelxu partecipano però, assieme ai più grandi al tradizionale rito del gragra.
Dopo 5 anni, all'età di circa 15 anni il kpekpelxu diventa tyafala,
ma ancora non entra a far parte della vita sociale del villaggio.
Il primo avvicinamento avviene verso i 20 anni,
quando si entra nel gruppo dei kumpalfarha.
Non si tratta ancora di un vero e proprio grado di età, però il giovane
viene scelto da un appartenente al grado superiore come dembiha,
letteralmente "il mio bambino"
Questo rapporto che si stabilisce tra due individui
separati da un grado di età durerà per tutta la vita
e riveste una grande importanza per entrambi gli individui.
La scelta, secondo i Tangba, avviene "come si sceglie una bella ragazza",
basandosi perciò su simpatie personali. <
In tutte le occasioni cerimoniali il dembiha sarà tenuto a fornire il cibo necessario al suo maggiore (demni)
mentre questo offrirà al suo minore una protezione e aiuto costante.
In privato il dembiha potrà scherzare e deridere il suo compagno maggiore,
mentre quest'ultimo dovrà sempre elogiare il suo "figlioccio" in pubblico.
Trascorso un altro lustro i giovani kumpalfarha entrano nella prima vera classe di età,
quella dei kumpara (25 anni circa).
Costoro rappresentano la prima vera e propria classe d'età.
Infatti da questo momento costituiscono un gruppo corporato
che pone le proprie forze al servizio della collettività.
Questi giovani seguono ora le direttive del kumpakpema (kpema = anziano)
che viene nominato in base alle qualità personali da uno specialista rituale del villaggio.
Questo legame con il capo rituale costituisce un elemento fondamentale della società tangba.
Tramite il kumpakpema quest'ultimo esercita infatti un'autorità notevole sull'intera comunità,
in quanto anche il capo politico (sawa) deve rivolgersi a lui
per usufruire delle corvées dei kumpara.
Chiunque abbia bisogno di dissodare un campo, di costruire un'abitazione,
di compiere un qualche lavoro pesante e gravoso,
può recarsi dallo specialista rituale e chiedere l'aiuto dei kumpara
i quali interverranno in cambio del cibo nel corso dei lavori.
In passato i kumpara lavoravano gratuitamente alcuni campi del sawa,
ma si tratta di un'usanza che è andata perdendosi in seguito alla dispersione
della popolazione attorno agli anni Venti.



Lo status di kumpara prevede alcuni obblighi, ma concede comportamenti altrimenti vietati.
«E’ la generazione dei teatranti» si dice di loro.
Sono infatti i kumpara a giocare al ladro rituale
e a tenere atteggiamenti concessi solamente in questa fase della vita.
Egli potrà infatti insultare chiunque gli passi davanti, può defecare in pubblico,
può tenere comportamenti irriverenti e soprattutto nel corso del primo mercato dopo il Dafarun,
è libero di impadronirsi di tutti i vegetali
che vuole senza incorrere in sanzioni particolari.
I giovani kumpara possono entrare nelle case e mangiare gratis
e spesso si abbandonano a prove di forza e a guasconate.
Per tutto questo periodo i kumpara devono girare
vestiti con una sorta di camicia bianca, tutta stracciata
mentre il ciuffo di capelli viene racchiuso in una piccola calotta di rafia intrecciata.
Al termine del quinquennio depositano la loro calotta
e si radono il ciuffo che verrà depositato in un compartimento speciale
del granaio familiare per poi essere intrecciato con quello
di un kumpara successivo della famiglia.
Trascorsi 5 anni i kumpara, che ora hanno circa 30-35 anni,
si affrancano dagli obblighi sociali relativi alle corvées collettive del grado precedente e,
senza compiere cerimonie, diventano dafara, "coloro che mostrano la bellezza".
I Tangba usano spesso esempi tratti dalla gerarchia militare
per indicare le prerogative dei gruppi d'età:
"Sono come i sergenti e i caporali" si dice a proposito di questo grado,
indicando una leggera superiorità nei confronti dei kumpara.
Infatti se tra questi ultimi scoppia una lite,
sarà un dafara a giudicare la questione.
Quella dei dafara è una fase che potremmo definire laica.
In questo quinquennio infatti non ci sono frequentazioni obbligatorie
presso gli specialisti rituali e gli individui conducono un'esistenza libera
sia da costrizioni di tipo alimentare sia da pratiche di tipo religioso.
Al termine del periodo si terrà infatti il Dafarun, la festa del sale
e in questa occasione con i suoi compagni dovrà sfoggiare i suoi abiti migliori
e offrire sale in grande quantità a tutto il villaggio.
Il Dafarun è una tra le cerimonie più importanti del ciclo tangba
e si presenta con manifestazioni diverse di quartiere in quartiere.
Va sottolineato che questa è la prima cerimonia nella vita di un uomo:
la prima nella quale viene coinvolto non solo a livello di status,
ma anche e soprattutto a livello economico.
Distribuendo ricchezza (sale) ai membri della sua comunità,
entra nella fitta rete di scambi e redistribuzioni
che caratterizza la società tangba.
Terminata la cerimonia del sale, si entra a far parte del gruppo d'età dei sakpana.
In ogni quartiere uno specialista rituale designato sceglie
nel gruppo dei sakpane, 7 giovani che verranno avviati a un'iniziazione particolare.
Chi viene scelto dovrà abbandonare i suoi abiti e ritornare alla nudità,
indossando solamente un piccolo perizoma, rasarsi i capelli,
tranne un ciuffo racchiuso in una calotta, e iniziare a fumare tabacco
in una pipa tradizionale, dalla quale non si separerà quasi mai.
Questa elìte viene scelta sulla base di criteri particolari,
tutti fondati sul fattore purezza.
Una purezza che questi giovani devono aver conservato attraverso il loro comportamento,
come per esempio non avere sposato una donna "straniera", dove per straniera
si intende appartenente ad alcuni dei gruppi che i tangba
non considerano appartenenti alla loro sfera (Peul, Betammari-be, Kabre).
Non influisce invece sulla scelta la famiglia di appartenenza,
anzi gli anziani specialisti rituali prevedono una rotazione fra le famiglie.
Infatti si tratta di un incarico gravoso, poiché il giovane prescelto
deve rifornire gli specialisti di polli o altri piccoli animali necessari ai sacrifici.
Inoltre l'appartenere al gruppo dei "nudi"
comporta un grande acquisto di prestigio, che deve essere controbilanciato
con offerte consistenti alla comunità e in particolare agli anziani,
in occasione delle cerimonie. I giovani prescelti devono sottostare a obblighi alimentari strettissimi,
anch'essi improntati sulla purezza.
Non possono assolutamente mangiare cibi che non siano stati prodotti nei loro villaggi,
né bere bevande alcoliche.
Non possono nemmeno allontanarsi troppo dal villaggio in cui abitano, né per molto tempo.
La loro presenza è strettamente legata alla terra,
così come quella degli specialisti rituali,
che sono sottoposti agli stessi divieti alimentari, di abbigliamento e di spostamento.
Al termine dei cinque anni i sakpana, sia quelli nudi sia gli altri,
diventano i protagonisti della più spettacolare cerimonia del ciclo tangba,
ilKpama, la "festa del grasso".
Il Kpama è soprattutto un rito di fertilità
ed è l'unico che viene celebrato nello stesso momento da tutti i gruppi tangba.
Ogni sakpana, non solo quelli dell'elìte, deve uccidere un bue e offrirlo alla gente del suo quartiere.
La mancata uccisione del bue in occasione di questa cerimonia
porta a una caduta di rispetto e all'esclusione dalle attività politiche collettive.
L'importanza dell'abbattimento del bue va letta nell'ottica della redistribuzione:
"Se non hai il denaro per il bue significa che non hai lavorato abbastanza".
Così viene spiegata la funzione del sacrificio.
Inoltre chi non ha ucciso il bue viene additato come uno scansafatiche,
che non ha voglia di lavorare e pertanto non è riuscito ad acquistare un animale da sacrificare.
Sotto questo profilo il sacrificio del Kpama opera da regolatore e da incentivo per la produzione.
Ora si è diventati kpam-te (padre del Kpama) e si riacquista la libertà di vestire e mangiare come si vuole,
di lasciarsi ricrescere i capelli per i cinque anni a seguire.
Un'altro periodo laico quindi, in attesa del passaggio successivo
che lo condurrà al grado di wara (45-50 anni).
In questo grado si ripete la costituzione di un'elìte come tra i sakpane,
ma i 7 prescelti non saranno gli stessi del grado precedente:
"Perché hanno già sofferto abbastanza" dove per sofferenza si intende
sia lo sforzo economico sia l'impegno dei wara nel seguire
gli specialisti rituali nelle loro attività notturne.
I 7 wara scelti, che sono considerati i responsabili religiosi e morali
della loro generazione e vengono iniziati dagli specialisti ai segreti dei culti,
adottano nuovamente la seminudità, interrotta solamente dal perizoma.
Ancora una volta il capo verrà rasato, e talvolta viene indossata
una piccola calebasse semisferica a guisa di cappello.



Una lunga pipa accompagnerà sempre il wara
ovunque vada e sarà suo dovere mantenerla sempre accesa.
Il wara è indissolubilmente legato al territorio del suo abitato,
non può neppure dormire o defecare al di fuori di esso altrimenti,
dicono i Tangba, la fecondità dei raccolti e delle donne ne soffrirebbe.
Al termine del lustro da wara, tutti i componenti di questa classe d'età
si accingono a celebrare il Kusaho, altra cerimonia
che prevede l'abbattimento di un bue.
Al termine della cerimonia e delle danze si è diventati kpema (anziani),
si entra a far parte della gerontocrazia tangba e decadono tutte le regole costrittive.
Si ritorna a indossare il lungo boubou,
si partecipa alla vita politica del villaggio e del proprio clan e,
come affermano tutti indistintamente: "Quando c'è una cerimonia, ti siedi e mangi".
Se il ciclo cerimoniale scandisce il calendario a tempi lunghi,
è il ciclo dei mercati a segnare le scadenze temporali più brevi.
I tangba non conoscono i giorni della settimana,
ma scandiscono iloro ritmi a seconda di dvoe si tiene il mercato.
Sono quattro i principali mercati nella regione tangba e ognuno si anima a turno,
dando luogo a una "settimana"tradizionale di quattro giorni.
Ogni area ruota attorno a quattro località che a turno
"si animano" e diventano yake, mercato.
In questi giorni convergono al mercato i contadini
provenienti da tutte le fattorie sparse
nel territorio tangba e in parte in quello kabyè e sorouba.
I Tangba adottano la sequenza dei mercati per determinare i giorni.
Infatti la "settimana" tangba è costituita
da un ciclo di quattro giorni che indicano i mercati
attorno ai quali ruotano i villaggi e le fattorie della zona.
Il ciclo settimanale viene così definito:
TAM = mercato di Kopargo
YAKE = mercato di Djougou
DUR = mercato di Pabegou
BARHA' = mercato di Katabam
Il mercato non costituisce solamente un luogo
di compravendita o di scambio commerciale.
In tutta l'Africa il mercato è un luogo caratterizzato
dall'intensa celebrazione di scambi sociali.
In una situazione, come quella dei Tangba,
la grande maggioranza dei quali vive in fattorie sparse
su di un territorio vasto e non abita quindi in villaggi concentrati,
il mercato diventa luogo di incontro con i membri
della propria famiglia e del proprio villaggio d'origine.
Il grande albero che sorge nel centro della piazza
è un vero e proprio "arbre a palabre"
dove gli anziani si riuniscono per lunghe discussioni e fumate di pipa.



Il capo riconosciuto è il sawa. Tradizionalmente ogni sawa
gestisce un quartiere, occupandosi di dirimere
le questioni tra le famiglie o tra gli individui.
La sua autorità è bilanciata da altre forme di potere
distribuite tra individui con competenze diverse.
Il sawa abita in un palazzo che ha la stessa struttura del compound,
ma è di dimensioni maggiori.
Nella capanna centrale, dove sono conservati gli oggetti
storici della sua famiglia (armi, abiti, amuleti),
siede abitualmente su di una panca in pietra o in terra, ricoperta con una pelle.
La pelle, generalmente di capra, è un elemento distintivo
in quanto segna la posizione gerarchica nelle riunioni collettive.
Tra i vari sawa esiste infatti una gerarchia:
"Quando si incontrano i sawa della regione,
solo uno siede sulla pelle"
La successione al trono avviene per linea patrilineare.
Gli aventi diritto sono tutti i figli maschi appartenenti alla famiglia reale.
Si segue una rotazione tra i membri di ogni ramo del lignaggio.
Il futuro sovrano viene scelto dall'assemblea dei sajora,
dignitari di corte e dal tung-te, lo chef de terre,
tra gli aventi diritto. Quando il sawa muore, tutte le sue mogli
devono tornare alle proprie abitazioni tranne le vedove più giovani
che possono sposarsi con un membro dell'altro ramo familiare
e rientrare nel saha reale.
La morte del capo viene tenuta segreta per molti giorni,
fino a che il corpo è stato seppellito.
Nessuno, tranne i familiari più stretti, deve vedere il corpo del defunto.
Dopo la sepoltura si suona il tamburo per avvertire la popolazione
e vengono sacrificati numerosi buoi (fino a 30).
Le cerimonie per la morte del sawa possono durare
fino a tre mesi e durante questo periodo le vedove
non possono assolutamente uscire dal recinto.
Al termine delle cerimonie il nuovo sawa
con la sua famiglia si insedia nel palazzo.



Alla morte del re segue di norma un periodo di transizione
caratterizzato da un forte allentamento delle regole.
In questo periodo i membri del clan regnante
possono impadronirsi di tutti gli animali domestici
che circolano fuori dai recinti.
Due importanti figure operano per alleviare questa situazione
di caos e di tensione: lo chef de terre (cacciatore) ed il sakpo.
Se il sawa rappresenta un potere politico acquisito dai conquistatori
grazie alle loro imprese militari, lo chef de terre
è l'alternativa rituale e tradizionale al potere del re.
A volte viene definito "padre del re" e i suoi poteri
si esprimono attraverso alcuni momenti fondamentali
della vita del villaggio come i sacrifici che inaugurano
il periodo dei lavori nei campi o quelli in cui
si dà il via alla consumazione dei nuovi raccolti
ai quali egli presiede.
Ma soprattutto lo chef de terre esercita la sua autorità
su alcune classi d'età, in particolare quella dei kumpara,
giovani tra i 25 e i 30 anni
che rappresentano il nerbo militare della società tangba.
Il suo assenso è fondamentale per ogni decisione importante,
ma soprattutto gioca un ruolo determinante nella scelta del successore al trono.
Nel periodo di interregno, che dura circa due-tre mesi,
lo chef de terre gestisce spesso, assieme al sakpo,
le rivalità tra gli eredi al trono.
Il sakpo è in genere il figlio di una sorella del re
e viene nominato dai sajora.
on ha potere politico, ma deve assicurare l'interim
durante i tre mesi di interregno tra la morte del re e la nomina del suo successore.
Il sakpo, a cui spetta una parte dell'eredità,
non sceglie direttamente il candidato,
ma il suo parere è influente e inoltre ha potere di veto.
"Il sawa è come il presidente: comanda tutti dall'alto.
il boro-te_ è come il sottoprefetto, comanda la gente da vicino,
perché la conosce"
E' facile riconoscere gli specialisti rituali nei villaggi tangba.
Non indossano abiti, tranne un perizoma in pelle,
portano un cappello rotondo fatto di rafia intrecciata
e reggono in mano l'immancabile pipa.



Tutti gli specialisti sono di origine lama o sola,
gruppi appartenenti all'etnia kabre, stanziata nel Togo nord-orientale.
Anche la carica di boro-te è ereditaria e la scelta avviene
all'interno delle famiglie designate con prerogative simili
a quelle per l'elezione del sawa, facendo prevalere
le qualità personali alla posizione strutturale.
A ogni specialista rituale è affidata una mansione particolare.
Banda di Tyaklero è responsabile della pioggia ed è a lui
che ci si rivolge in caso di siccità;
Danierì di Galorhà lo è della guerra, in caso di scontro
è lui a guidare gli uomini nella lotta;
Adjana è incaricato di seguire l'altare di Foung-nor,
che svolge un ruolo fondamentale per quanto riguarda
la fertilità femminile e agricola.
I borol, gli altari degli specialisti rituali,
sono sparsi sia nei villaggi sia nella campagna e hanno forme diverse.
Quasi tutti i boro-te conoscono l'arte di curare con le erbe.
Non è raro infatti vederli tornare dai campi
con la loro calebasse piena di erbe raccolte nei boschi,
che custodiranno nelle loro abitazioni.
La vita degli specialisti rituali è fortemente condizionata
da una serie di regole di comportamento
che contribuiscono a ribadire la loro diversità
rispetto agli altri membri della comunità,
come ad esempio: non possono portare abiti;
non possono mangiare cibi che non siano tradizionali
e cucinati nelle loro case; non possono mangiare roba in scatola,
bere birra in bottiglia, mangiare cipolle,
arachidi o altri cibi giunti in terra tangba in epoca recente.
Anche i loro movimenti sono limitati:
alcuni di loro non possono lasciare il quartiere dove abitano,
altri, se lasciano il villaggio devono portare con sè
il loro cibo e riportare al villaggio le feci.
Inoltre nessun boro-te può recarsi
in un villaggio di nuova fondazione.
"E' il prefetto che va dal presidente, non il contrario"affermano i Tangba
con la loro innata tendenza a fare paragoni tra la loro struttura
tradizionale e quella amministrativa moderna.
Il comportamento degli specialisti rituali tangba
si richiama a un ideale di purezza legato alle origini,
in contrasto con le trasformazioni avvenute in seguito.
Il rifiuto di indossare abiti può essere interpretato
come una riaffermazione della propria identità originale.
L'abito è un elemento importato dalla cultura islamica prima
e dall'Europa poi, la nudità è l'abito degli antenati.
I boro-te hanno lasciato ai sawa il compito di occuparsi degli stranieri,
altro evidente segno del loro non volersi contaminare.
Anche il cibo deve essere quello degli avi, quello di sempre.
Il loro legame con la terra e quindi con gli antenati,
è confermato dal divieto di abbandonare il villaggio
e addirittura non potere abbandonare fuori resti propri come le feci.
Anche molte delle proibizioni matrimoniali tradizionali sono trascurate,
mentre una delle prerogative di chi ricopre il ruolo di specialista rituale
è di non essersi mai sposato con una donna straniera.
«Lassù, sulle colline, c’è la storia» dicono,
gli abitanti della pianura
E' nel villaggio tempio, che vive ancora la loro storia.
L'autorità degli specialisti rituali non è però limitata a un'azione di tipo religioso,
ma nasce anche dal loro controllo sui gruppi d'età.
Il sistema di classi d'età costituisce l'asse portante del sistema tangba
e crea nuove forme di alleanze.
Anche l'istituzione del rapporto demni/dembiha,
nel quale ogni individuo sceglie un "figlioccio"al di fuori della propria famiglia,
contribuisce a rendere ancora più intricata la rete di relazioni fra i clan.
I gradi di età prevedono un alternarsi di periodi di 5 anni
ora caratterizzati da divieti e pratiche religiose, ora liberi.
Durante i periodi "religiosi" sono i boro-te
a istruire i membri del gruppo e ad assumerne la responsabilità.
Tramite il controllo delle classi d'età si pratica un'azione politica
che assume ancora maggior peso nella partecipazione, da parte degli specialisti,
alle assemblee di villaggio.
Sawa e boro-te si incontrano spesso e concertano
soluzioni comuni, consci ognuno del suo ruolo e delle sue prerogative.
Però mentre il sawa non si occupa assolutamente
di questioni rituali e di cerimonie,
alcuni boro-te collaborano con lui nelle scelte
di tipo politico, mai in quelle amministrative.



Il mito delle origini
Il primo ad arrivare nella terra del villaggio è stato Sangà,
rifugiatosi sulle colline in seguito alle persecuzioni bariba.
Sangà era un kabye, proveniva dalle montagne del Togo ed era agricoltore.
Dopo essersi insediato ha chiamato la sua famiglia e ha fondato
il primo quartiere del villaggio che si chiama Satiakè.
Dopo di lui è arrivato un cacciatore.
Contento di avere un cacciatore assieme a lui,
Sangà ha chiesto al nuovo arrivato di liberarlo dagli animali feroci
che circolavano nella zona.
Il cacciatore allora ha piantato quattro bastoni nella terra
in direzione dei quattro punti cardinali,
ha fatto qualche incantesimo e gli animali sono fuggiti
Sanga allora ha detto: "Non so come tu abbia fatto, ma ha funzionato"
e ha chiesto al cacciatore di restare
conferendogli il titolo di chef de terre.
In seguito sono arrivate altre famiglie
provenienti da tutte le parti e il villaggio si è ingrandito.
Un giorno Sangà e sua moglie hanno litigato.
Allora Sangà ha detto: "Chiamate il Bariba"
Questi ha ascoltato le ragioni di entrambi
e poi ha dato torto alla donna insultandola."
Da allora il Bariba è stato chiamato Chourou "quello che insulta"
e ha sempre giudicato le questioni famigliari.
Così, secondo la tradizione nacque Seseirhà, uno dei quattro villaggi tangba,
una popolazione di circa 50.000 individui che abita le Colline Taneka,
nel Benin nord-occidentale. Sul significato del nome Tangba
(che amministrativamente vengono chiamati Taneka)
ci sono due versioni: la prima fa risalire alla radice tana, pietra,
il nome di questo popolo che significherebbe "quelli delle pietre".
La seconda fa riferimento al termine tangba, i grandi guerrieri,
come amano definirsi.
Entrambe le definizioni riflettono perfettamente
i caratteri principali della cultura tangba.
Il mito dell'origine narra di un Kabre arrivato sulle colline
dove incontrò una famiglia di Bariba.
Miti riferiti ad altri villaggi narrano analogamente di cacciatori
o tessitori venuti da lontano ai quali si aggiunsero
in seguito altri stranieri che diedero vita ai villaggi.
La tradizione orale riflette perfettamente le vicende storiche di questo popolo
che sembra voler smentire tutti i concetti classici di"tribù"
o di "etnia", intesi come comunità.

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